dolimentu
Avevi pensato di far bene. Hai ristudiato, ti sei documentato
hai messo a punto delle verità e con esse hai
costruito il tuo castello per essere da tutti apprezzato.
In effetti avevi dato forma a qualcosa di nuovo,
davvero piena di disistima per il sapere sclerotizzato.
Certo i grandi, grandi sono. Ma li avevi picchiati.
Erano proprio dei bambini capricciosi
troppo abituati a ricevere il miele. Solerti nel dispensare amenità
che nessuno osava appellare tali. Tu fosti fermo nell’indicarne il vuoto.
Per riempire il quale mettesti mano al tuo castello.
Lo credevi meritevole di lode, di studio, certo di migliorie.
Avevi lavorato per gli altri, certo anche per te, ma in primis
ti riempivi il cuore di gaudio ogni qualvolta portavi avanti
un risultato: nuova prova del tuo grande amore per loro.
Loro non ti hanno visto. Né sentito. Così impastati d’un falso passato
non potevano credere a ciò che gli prospettavi. Troppo bello.
Proprio quel bello ch’essi avean sempre sognato. Di nascosto.
Epperò, quanta fatica abbandonare un’antica credenza
anche se gravida di pena. Ma, cosa dice costui. E, costui chi è!
Certo questo è bello. Ah si, l’avevo pensato anch’io da tempo.
Ma come si fa a credergli.
La tristezza ti pervade, ti senti tradito. Dalla tua stessa gente.
Ma la tua gente non ha colpa. Nulla ti chiese.
Fosti tu a volerla violentare con tue trovate.
Le quali raccontano il vero (forse), ma non divertono. Anzi, rompono
un equilibrio secolare. Sconvolgono paradigmi digeriti.
Scompigliano il potere culturale. E la tua gente sempre in mezzo
a fare da cuscinetto. Anche fra tue novità e granitiche certezze.
Il tuo castello è lì. Attende ancora d’essere conquistato.
hai messo a punto delle verità e con esse hai
costruito il tuo castello per essere da tutti apprezzato.
In effetti avevi dato forma a qualcosa di nuovo,
davvero piena di disistima per il sapere sclerotizzato.
Certo i grandi, grandi sono. Ma li avevi picchiati.
Erano proprio dei bambini capricciosi
troppo abituati a ricevere il miele. Solerti nel dispensare amenità
che nessuno osava appellare tali. Tu fosti fermo nell’indicarne il vuoto.
Per riempire il quale mettesti mano al tuo castello.
Lo credevi meritevole di lode, di studio, certo di migliorie.
Avevi lavorato per gli altri, certo anche per te, ma in primis
ti riempivi il cuore di gaudio ogni qualvolta portavi avanti
un risultato: nuova prova del tuo grande amore per loro.
Loro non ti hanno visto. Né sentito. Così impastati d’un falso passato
non potevano credere a ciò che gli prospettavi. Troppo bello.
Proprio quel bello ch’essi avean sempre sognato. Di nascosto.
Epperò, quanta fatica abbandonare un’antica credenza
anche se gravida di pena. Ma, cosa dice costui. E, costui chi è!
Certo questo è bello. Ah si, l’avevo pensato anch’io da tempo.
Ma come si fa a credergli.
La tristezza ti pervade, ti senti tradito. Dalla tua stessa gente.
Ma la tua gente non ha colpa. Nulla ti chiese.
Fosti tu a volerla violentare con tue trovate.
Le quali raccontano il vero (forse), ma non divertono. Anzi, rompono
un equilibrio secolare. Sconvolgono paradigmi digeriti.
Scompigliano il potere culturale. E la tua gente sempre in mezzo
a fare da cuscinetto. Anche fra tue novità e granitiche certezze.
Il tuo castello è lì. Attende ancora d’essere conquistato.