* questi feniciomani! troppo legati al danaro? *

Moltissimi anni addietro ci interessammo di nascita dell’alfabeto e deducemmo qualcosa basandoci essenzialmente sul testo di David Diringer: 1969, l’alfabeto nella storia della civiltà, Giunti-Barbera, Firenze. La riproponiamo, per una parte, perché riteniamo ancora valida. Lo studioso polacco, attestando la creazione dell’alfabeto nordsemitico poco prima della metà del II millennio a.C., diceva, riguardo al luogo: «è con ogni probabilità nato là dove la prima volta incontriamo iscrizioni nordsemitiche, ossia nell’orbita dell’odierna Palestina-Siria: non vi è alcuna prova contraria». E, circa il nucleo culturale inventore dell’alfabeto, dice testualmente: «Riguardo alla popolazione che ha creato (o nella quale è stato creato) l’alfabeto, la questione è naturalmente in parte connessa col problema predetto (individuazione della data, ndr). In linea generale, si può dire, si tratta di una popolazione semitica settentrionale parlante una lingua nord-semitica (come l’ebraico o il «fenicio»), e abitante nella zona della Terra Santa, ma non è possibile precisare di più». Desideriamo rilevare come, nell’accorgimento grafico sul vocabolo fenicio, proposto proprio dallo studioso, vediamo davvero una indigesta attribuzione dell’appellativo, usato solo per esprimere meglio il suo pensiero. Egli non ha inteso certo riferirsi alle “popolazioni fenicie od ebraiche” come siamo oggi abituati ad intenderle, ma a quelle popolazioni che molto più tardi elaborarono e fecero proprie queste scritture. Anche la precisazione geografica “Terra Santa” che lo studioso pone in essere, è destinata a circoscrivere ancora meglio quella più generale di “Palestina-Siria”, allontanando peraltro, almeno un po’, il luogo di nascita dell’alfabeto dall’area che dai più viene definita come di più stretta pertinenza “fenicia”, cioè quella a settentrione del Monte Carmelo. A questo punto, siamo persino in grado di comprendere come si sia potuta diffondere l’erronea informazione che fossero stati i “fenici” ad inventare la scrittura alfabetica. Abbiamo compreso come lo specialista, nello studio dell’alfabeto nella storia della civiltà, abbia per ora stabilito che non sia possibile indicare alcuna popolazione, quale artefice dell’introduzione dell’alfabeto! L’area Palestina-Siria, nella prima metà del II millennio a.C., era frequentata ed abitata da una moltitudine di popolazioni che scrivevano e parlavano con le proprie scritture e linguaggi. Fra tali popolazioni ricordiamo Sardiani, Ittiti, Egizi, Amorrei, Hurriti, Cananei, Mitannici, Sutei, oltre a Indoari e popolazioni nomadi o seminomadi tra cui Sutu e Hapiru. Con l’introduzione dell’alfabeto si arrivò ad un nuovo mezzo di espressione così comodo, così semplice, che rappresentò certo un avvenimento di portata incalcolabile per le relazioni nazionali e transnazionali dell’epoca. Fin dalla sua invenzione, sarà stato usato indistintamente, da tutte quelle popolazioni che abitavano la suddetta area, le quali pur mantenendo la scrittura cuneiforme nelle relazioni ufficiali fra gli Stati, avranno adoperato la scrittura alfabetica negli atti privati o di carattere interno ad uno stesso Stato. Ma, dal momento in cui si creò un legame indissolubile fra la nuova tecnica espressiva e la realtà quotidiana, ogniqualvolta una di quelle popolazioni sia entrata in contatto con Genti Estranee alla propria area, avrà man mano, usato il nuovo mezzo per dichiarare e registrare alcune procedure, effettuando conteggi e misurazioni, fissando contratti, atti cioè inerenti specificamente l’ambito di interesse reciproco. Le suddette Genti Estranee, superata la maraviglia per il nuovo mezzo comunicativo, avranno anch’esse, col tempo, apprezzato la grande facilità di un siffatto modo di relazionarsi e, mentre da un lato avranno man mano imparato l’uso della scrittura alfabetica, da un altro avranno ritenuto la controparte artefice di detta innovazione. Ma, questo meccanismo di maraviglia-apprendimento, si sarà riciclato continuamente, nei confronti di tutte le popolazioni “genitrici”, dell’area Palestina-Siria, che si siano trovate in contatto con Genti Estranee. Ogni volta, da parte di queste ultime, si sarà fatto ascrivere al proprio interlocutore il merito di aver ideato l’alfabeto. Tale meccanismo sarà scattato sempre, nei confronti di tutte le popolazioni “genitrici” e sarà stato chiaro dopo qualche tempo, alle popolazioni circumvicine all’area Siro-Palestinese, che tutte le popolazione interne a quell’area erano deputate a fregiarsi della maternità della messa a punto dell’alfabeto. Questa considerazione logica non poteva essere messa in atto dai popoli che trovavansi lontano o molto lontano dalla nostra area, ai quali risultasse difficile entrare in contatto con più d’una, fra quelle popolazione “genitrici”. Fra gli abitanti dell’area che stiamo trattando, quelli deputati ad avere contatti con genti lontane o molto lontane, come quelle che avevano la loro dimora oltremare, erano certamente quei tali abitanti che, per la loro precipua attività, erano abituati a viaggiare di continuo. Certamente fra questi sono da annoverarsi quelle popolazioni che, in modo errato, vengono ancora indicate col nome di “Fenici”: infatti esse, ovvero quel nugolo di popolazioni abituate a spostarsi lungh’esso il bacino mediterraneo, anche per adempiere la loro attività mercantile, erano costrette a viaggiare molto, contattando molti popoli anche in contrade lontanissime, ove li spingeva la loro bramosia di nuovi clienti. Proprio per questa semplice ragione, le popolazioni lontane all’area Siro-Palestinese, come le popolazioni dell’imbarbarito continente greco, avranno attribuito alle popolazioni “fenicie” il merito della introduzione dell’alfabeto (ci riferiamo naturalmente al mito di Cadmo). Che esse abbiano avuto rafforzato il frutto della loro inferenza dall’aver quei “fenici” attribuito a se stessi tale merito, ci fa solo scoprire un lato umano della storica, culturale vicenda. Non va peraltro sottaciuta un’altra logica conseguenza della perenne attività mercantile delle popolazioni cosiddette “fenicie”: esse per gli obblighi connessi con la loro attività erano solite trascorrere la gran parte del loro tempo all’estero: pare pertanto logico dedurre, che il loro contributo alla elaborazione dei dati linguistici che sfociarono nella nascita dell’alfabeto, se pure ci fu, dovette essere minimo, se non insignificante e solo connesso, se mai, con quella piccola parte sedentaria della loro popolazione. Abbiamo visto che una delle popolazioni d’oltre mare che andarono soggette a questo meccanismo deduttivo fu, in senso generale, la popolazione greca, che disconoscendo il suo passato, fece proprio l’alfabeto siro-palestinese. Essa più di tutte le altre, ci ha tramandato per il tramite degli scrittori di cultura greca e segnatamente Erodoto, il semplice frutto di quel meccanismo che abbiamo definito di maraviglia-apprendimento. È altresì onesto affermare che, relativamente a questo argomento, la loro attendibilità storica è inversamente proporzionale alla quantità di tempo trascorso dall’epoca in cui si verificarono i fatti. Infatti, soltanto dalla cultura greca noi abbiamo appreso che i “fenici” furono gli inventori dell’alfabeto, anche se ad onor del vero deve dirsi che Platone in Dialoghi, Fedro, III,LVII., di sessant’anni posteriore allo storico d’Alicarnasso, riteneva gli Egizi artefici delle “lettere dell’alfabeto”, mentre storici successivi di scuola greca e romana, come Diodoro e Tacito, avevano ben chiare la nascita e diffusione dell’alfabeto. Entriamo un tantino nel merito. Erodoto fornisce una esatta interpretazione del meccanismo da noi descritto, in V,58,1, perché afferma che i Fenici/Gefirei avevano introdotto fra i Greci l’alfabeto, e nel versetto successivo, dice che i Greci di stirpe ionica chiamavano le lettere dell’alfabeto «fenicie, come era giusto, visto che ad inventarle erano stati i Fenici»; va peraltro ricordato come lo storico Turio, nei primi versi del suo lavoro e per altre ventidue volte nel prosieguo dello stesso, ci dimostrasse non avere la più pallida idea di chi fossero e da dove venissero i “fenici”. Diodoro Siculo, seguendo forse Ecateo di Abdera, in I,69,5, dice che gli Egiziani affermano che «presso di loro ebbe luogo l’invenzione dell’alfabeto», mentre in III,67,1, afferma che «le lettere sono chiamate fenicie, per il fatto che vennero introdotte presso i Greci dalla Fenicia». Ma, è in V,74,1 che l’Agirita da il meglio, affermando tutta la verità in merito: «si dice che i Siri siano gli inventori delle lettere, che i Fenici, avendole apprese da loro, le abbiano trasmesse ai Greci»! Autori molto posteriori di area latina, del I secolo d.C., sono anche più incisivi, infatti Lucano nel De Bello Civili, III, 220-224 dice: «i Fenici, se vogliamo prestar fede alla leggenda (nostro l’italico), furono i primi che osarono fissare le parole in segni stabili», dando evidentemente nessun credito alla tradizione a lui nota. Tacito riferisce che gli Egizi si considerano: «inventori della scrittura, che i Fenici, espertissimi navigatori, di là portarono in Grecia usurpandone per sé la gloria, quasi avessero scoperto essi quello che avevano ricevuto da altri», in Annali, XI,14,1, dimostrando di aver afferrato molto bene la funzione di semplici “corrieri” svolta dalle popolazioni “fenicie”. Plinio da quanto afferma in alcuni passi di Naturalis Historia, sembra non voler prendere posizione sull’argomento, perché in V,12,12 dice: «il popolo stesso dei Fenici gode grande fama per aver inventato l’alfabeto», mentre in VII,57 afferma: «io ritengo che gli Assiri abbiano sempre avuto l’alfabeto. C’è invece chi come Gellio pensa che sia stato inventato […] in Egitto (secondo altri fu inventato in Siria); c’è invece accordo nel ritenere che Cadmo abbia introdotto in Grecia dalla Fenicia un alfabeto». Molti studiosi moderni, invece, hanno fondato loro dotte elucubrazioni sul tema, semplicemente basandosi, per dirla con Lucano, su poche favole dell’antichità, le quali si sa, non possono essere la base per ricostruire un credibile passato.
- Conclusione partorita oggidì
Prendiamo molto piacere nel concludere questo scritto, citando colui che, pur a distanza di un secolo, in barba ai nostri attuali, ed al tempo, obsoleti cattedratici che blablano senza aver profondamente infilato la personale critica leppa nella piaga del loro inconcludente discettare di storia sarda, risulta ancora essere il più profondo conoscitore della storia della Sardegna, Ettore Pais. Il Sardopiemontese, in modo inconsciamente (essendo egli un feniciomane ed antisardiano) sintomatico e per noi, ora così carico di significato, ebbe a testimoniarci il frutto di sue ricerche su questo argomento, nel modo seguente: «è noto che la Sardegna ha dato un maggior numero di iscrizioni fenicie della stessa Fenicia»! La Sardegna Prima del Dominio Romano, in Memorie della R. Accademia dei Lincei 1880-81, serie terza, volume VII, p. 21. Questa affermazione del Pais, che è frutto non di una sua ipotesi, ma si basa su un freddo calcolo aritmetico messo a punto da se stesso e da altri studiosi a lui contemporanei dopo lunga gestazione, è sul punto di partorire una logica conseguenza che aspetta solo una volenterosa levatrice che la aiuti a venire al mondo, pur fra doglie concettuali particolarmente dolorose. Ora, noi sappiamo come nel Lazio siano state trovate il maggior numero di iscrizioni latine, in Etruria il maggior numero di iscrizioni etrusche, in Grecia il maggior numero di iscrizioni greche, in Egitto il maggior numero di iscrizioni egizie, per il semplice motivo che quelle aree geografiche rappresentavano “l’abitazione” di quelle popolazioni. Bene, se noi diamo per scontato, e nessuno può ragionevolmente affermare il contrario, che sia assolutamente vero quanto appena dichiarato, si deve arguire, in modo lineare ed automatico, che: le iscrizioni superficialmente definite “fenicie”, trovate in Sardegna, fossero opera del popolo abitante la Sardegna, cioè del popolo Sardiano. Appare evidente, quindi, che tale popolo non possa essere quello “fenicio”, che invece avrà avuto la sua “abitazione” in un qualunque dove, gli studiosi dalla fertile immaginazione abbiano deciso o decideranno di assegnar loro, ma non certo in Sardegna. Se poi, non dimenticando ciò che disse il Levi della Vida sulla civiltà fenicia: «purtroppo il carattere intimo di questa civiltà ci sfugge quasi interamente […] tacendo quasi per intero ciò che potrebbe dar luce sull’essenza della vita sociale, dei costumi, della cultura», in Enciclopedia Treccani, vol.XIV: 997-1002 (1951), volessimo, seguendo la Bellamente, evidenziare brevissimamente alcuni concetti carichi di palese incoerenza, possiamo ricordare il Moscati. Il nostro semitista, nel 1992, in Chi furono i Fenici, SEI, Torino, ebbe a propinarci la seguente dichiarazione: «Il nome “Fenici” (sua l’interpunzione) costituisce di per sé un problema: problema che evidentemente non investe solo una questione formale, ma anche e soprattutto una questione sostanziale, quella della realtà storica che si riflette nel nome stesso». Dobbiamo esclamare: capperi! Questo signore, dopo una vita trascorsa a studiare, insegnare, stampare libri, indire convegni, fondare istituzioni, creare riviste inerenti i “fenici”, da campione del superparadosso, osa dichiararci che già soltanto il nome “Fenici” rappresenta un problema? E, non solo come tale e non solo da un punto di vista formale? Addirittura un problema che investe sostanzialmente la realtà storica di tale appellativo e di tutto ciò che gli gira intorno? Ma, come osa questo signore, super osannato, super beatificato (veniva chiamato il “papa”) che ha salito tutti gli scalini del potere culturale (era presidente della Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, all’Accademia dei Lincei), al colmo della sua luminosa carriera, rimbrottarci in modo sì incoerente, sulle sue deficienti conoscenze sui “Fenici”! Incoerenze? Bene fa la Bellamente a ricordare la Bonnet: «uno dei paradossi maggiori della storia fenicia risiede nel fatto che il popolo che “inventò” (sue le virgolette) l’alfabeto, abbia lasciato pochissime tracce scritte del proprio passato». Ebbene, se invece che dei “fenici”, stessimo parlando di un qualsiasi altro popolo, la azione logica susseguente a quanto appena espresso, sfocerebbe nell’etichettare tale popolo di un quasi analfabetismo. Bene, lettore carissimo, qui finalmente è lo sgretolamento della fantasticheria “fenicia”! Gli impreparati cattedratici sardi che ci propinano quotidianamente l’assioma che vede gli antichi Sardiani come unico popolo mediterraneo illetterato, hanno il premio che merita la loro pigrizia mentale! Gli illetterati non sono i Sardiani, Ettore Pais e Gigi Sanna docent! Gli unici illetterati dell’antichità furono proprio e soltanto i “fenici”. I “fenici”, il quale vocabolo è semplicemente un Guazzabuglio di concetti strampalati, come ormai dimostrato dai più grandi conoscitori della materia. P.S.- Certo, fa tenerezza il vedere come, i più ciecamente abbarbicati all’ormai decantato, cioè liberato da eccessi e distorsioni, cioè purificato, vocabolo “fenici”, siano le persone con un impianto culturale approssimativo! Le persone che invece detengono il potere culturale, sanno molto bene e ce lo dicono continuamente fra parentesi (purché si leggano con attenzione loro libri e convegni), come la pacchia dei “fenici”, che ha portato nelle loro tasche tanto nostro danaro, sia ormai finita! Ma, almeno essi hanno un interesse economico enorme da difendere! Essi stanno puntellando il loro potere e, come già espresso altrove, di qui a breve, saranno proprio essi, dall’alto della loro costosa scranna, una volta messo a punto il meccanismo comunicativo idoneo, a dirci: signori, sappiate che:
                                                                 
                                                                    “i fenici non sono mai esistiti”!

in barba a qualche “fesso”, che va ramingo di blog in blog, in ingenii tarditate se ostendere.