Cartaginesi sempre sconfitti, dal 539 al 339 a.C. (pp. 19-24 excursus)

1.2.1 -   Serdaioi: lo stato dell’arte
 
Bene, abbiamo esposto le nostre idee nel merito della vicenda che lega Serdaioi e Sibaritai e, evidentemente, non possiamo astenerci dal manifestare la nostra opinione su quanto pubblicato dal tardo Pugliese Carratelli, in merito alla questione medesima.[1] 
Mezzo secolo addietro, lo storico e grecista, espresse il suo parere su richiesta della Zancani Montuoro[2] - circa l’ipotesi, dalla stessa manifestata, di appartenenza dei Serdei, della tabella bronzea di Olimpia, alla regione geografica della Sardegna - accettando tale identificazione e certificando una connessione diretta tra Sardi e Serdaioi. Il grecista riprese il tema nel ’70, confermando la posizione espressa[3]. Ritornò sull’argomento dieci anni dopo, esprimendo piena continuità nel suo pensiero[4]. Trascorsi altri vent’anni, a seguito di una ipotesi di vasto consenso che sembrava indicare una “ubicazione in ambiente, molto probabilmente, enotrio-tirrenico dello sconcertante ethnos”, entra nel merito esprimendo il nuovo sviluppo del suo pensiero. Non è d’accordo, intanto, sulla nuova ipotesi «i cui fondamenti non appaiono sufficientemente saldi». E, dobbiamo dire, noi siamo molto più severi nello stigmatizzare l’uscita del Greco[5]. Anch’esso accademico linceo, non accenna ad una, pur minima, analisi orientata alla identificazione di un ethnos così specifico, anche a voler guardare alla sola prospettiva letterale del vocabolo che così lo rappresenta. Solo, si limita ad ipotizzare «un “flusso” migratorio che dalle regioni interne raggiunge la costa (fra Palinuro e Lao, ndr) nella seconda metà del secolo VI a.C. (ch’egli crede dare forma a, ndr) questo popolo di Serdaioi che noi crediamo di poter identificare con un gruppo enotrio».
Qui, interessa però prendere visione del percorso segnato dal Pugliese Carratelli, per renderci conto del salto cognitivo che diede la stura a sue nuove conclusioni. (ja sikit)

Lo storico napoletano, afferma che la «rarefazione di colonie greche nella Sicilia occidentale e nelle altre due grandi isole del Tirreno, favorì la mitizzazione delle iniziative coloniali (greche, ndr) in quei luoghi, e (infatti, ndr) ne divennero protagonisti Eracle e gli Eraclidi». Più oltre, riferendosi al contenuto della Biblioteca Storica (IV,29) in cui v’è racconto di un arrivo, proprio di Eraclidi (Iolao e Tespiadi) in Sardegna, egli concentra la sua attenzione proprio sui quaranta Thespiadai ed afferma: «Essi meritano tuttavia una particolare attenzione, non solo per l’importanza storica del loro luogo di origine […]». E già qui osserviamo: ma, se tali Tespiesi, come universalmente noto, sono molto ben incastonati dentro ad un mito, cioè sono una creazione né scientifica né logica, ovvero il prodotto di una diffusa partecipazione fantastica, è lecito chiedersi e pesantemente ci chiediamo, per quale mai miracolo osmotico, possano essi scambiare la loro sostanza fantastica e diventare frutto concreto della storia. E, tutto ciò, in parte per essere originari, nella narrazione favolistica, di un luogo che ebbe importanza storica: è come se dicessimo che qualsiasi cittadino romano dell’oggi, meriti una particolare attenzione almeno per l’importanza storica che ebbe Roma. Ma, allo storico pare essi meritino particolare attenzione: «soprattutto perché figurano protagonisti di un episodio che non appartiene al quadro mitico dell’apoikίa». Orbene, noi sappiamo d’essere in presenza di un racconto mitico legato agli Eraclidi: essi arrivano, fondano una colonia, ripartono. Ciò rappresenta un blocco narrativo inscindibile. Se alcuno pretenda tagliar via una sola parte delle tre, che rappresentano parti fantastiche di un fantastico insieme, egli decide di strappare il manto leggendario che avvolge la terza parte, per dare ad essa autenticità storica. Ma, chiunque desideri universale consenso in somma misura nel fare ciò, non può esimersi dal portare prove. Valide in somma misura. Nella nota che stiamo analizzando, è spiacevole, ma realistico affermare, che è presente proprio nulla, nello stretto merito.  (ja sikit)

L’Autore entra, quindi, nel contenuto di un passo (il V,15) dell’opera di Diodoro Agiriense. Dobbiamo, però, premettere che il paragrafo 15 del libro V, ha sempre destato i nostri più violenti dubbi, circa l’autenticità del suo contenuto, così pervenuto dopo aver attraversato oltre mille anni di copiature, correzioni, interpolazioni, espunzioni, di cui fu certamente fatto oggetto. Proprio per fare il punto sulle incongruità fra i contenuti dei libri e capitoli IV,29-30 e V,15, iniziammo una volta, con l’eseguire una verifica, partendo dal codice Neapolitanus suppl. gr. 4, parola per parola, sulla corrispondenza del testo dell’Oldfather, che si rifà al Vogel-Fischer 1888 e segg. della edizione Teubner, con quello del manoscritto. Ebbene, in linea di massima, l’andamento espositivo dei testi risulta quasi identico trovandosi tuttavia 24 vocaboli, o differenti o con diversa desinenza o mancanti nell’uno o nell’altro testo. In attesa di verificare, nello stesso merito il Vaticanus gr. 130, desideriamo appena rilevare come le più numerose differenze testé citate, si trovino proprio nel paragrafo 15 del libro V. Ed è proprio quello, la cui originalità diodorea noi mettiamo in altissimo dubbio. D’altro canto, dobbiamo considerare come l’andamento oscuro delle evenienze così come appaiono nel testo, fu ampiamente rilevato dalla critica filologica, a partire da ben oltre un secolo addietro, nel cui seno si avviò una disputa, nella quale si avanzavano molti dubbi in merito alla verginità dello stesso testo. Anche il Pais[6] ce ne dava conferma: «L’impressione che fanno questi due luoghi, come già ha osservato il Müllenhoff, è che il cap. 15 del libro V sia stato copiato ed epitomato dai cap. 29 e 30 del IV». Per conto nostro possiamo aggiungere, per intanto, che: certo Diodoro non poteva epitomare sé stesso.
E, chiudiamo qui il nostro excursus, onde ancora analizzare la nota del Pugliese Carratelli.   (ja sikit)
 


[1] G. Pugliese Carratelli, 2004, Oinotroi, Serdaioi e Thespiadai, in Parola del Passato, vol. LIX, fasc. I (CCCXXXIV): 16-69.
[2] P. Zancani Montuoro, 1962, Sibariti e Serdei, in Rend. Mor. Acc. Lincei, Serie Ottava, Vol. XVII, Fasc. 1-2: 11-19.
[3] G. Pugliese Caratelli, 1970, La Parola del Passato, vol. XXV, p. 10.
[4] Nella introduzione a Ichnussa del 1981, confermata nell’edizione del 1993, ed. Garzanti -.Scheiwiller, Milano.
[5] E. Greco, 2003, La colonizzazione greca in Italia meridionale. Profilo storico-archeologico, in Il fenomeno coloniale dall’antichità ad oggi, da Atti dei Convegni Lincei (Roma 19-20 marzo 2002).
[6] E. Pais, 1881, La Sardegna prima del dominio romano, Mem. Mor. Acc. Lincei, Serie Terza, Vol. VII, in Civiltà dei Nuraghi, Sardegna Preromana, Ed. Anastatiche 3T, Cagliari, II Parte, p. 107 e segg.