La strage del pane
Custu zieddu mannu abberu. (anche in relazioen ai Cartaginesi)
Doveva essere il 25 di ottobre del 2008. Avevo portato il mio primo libro alla manifestazione annuale del Circolo Sardo dei Quattro Mori di Ostia, onde esporlo e farlo conoscere. Nel pomeriggio mi vidi venire incontro “custu zieddu, nieddu ke a maurreddinu”, con occhi anche nerissimi, vestito di tutto punto (come colui che tenga in un certo conto la propria persona e voglia conferire rispetto agli individui e i luoghi che intenda visitare), con cappello, giacca e cravatta vistosa (come spiccata e netta doveva sentire la propria personalità) e con un impermeabile per soprabito. Ci presentammo e chiestogli cosa facesse, seppi che era un “pensionato benestante”. Mi narrò parte della sua vita movimentata, che lo vide recarsi in Australia, Russia, Inghilterra e Francia. Questo particolare, che mi riuscì di cogliere, me lo presentò come individuo assolutamente particolare. Noi sappiamo infatti come, i nostri corregionali, spinti dal fato a cercare altri lidi ove nidificare, si recarono in Belgio, ove rimasero; approdarono in Germania, ove si crearono una famiglia; arrivarono in Francia, ove si ricostruirono una vita, ché tale è l’obiettivo dell’emigrante: trovare un posto, qualunque, ove poter dar fondo alle proprie capacità per mettere a punto, in terra, i propri sogni. Invece, “custu zieddu” aveva un animo inquieto, era sospinto da una vivacità sì dinamica, al punto che nessun luogo al mondo poteva appagare il suo infinito desiderio di scoprire cosa fosse più in là. Credetti di capire l’origine di quella vigoria: era quell’intimo desiderio di conoscere sé stessi, che aggredisce i puri d’animo, che devasta i pensieri dei buoni di spirito, i quali volano alto, non lambiti da terrene meschinità le quali non trovano aderenza sulla sfera, lustrata a specchio, che racchiude loro ideali, al tempo principio, modello e causa del divenire. Da qualche decennio risiedeva ad Acilia, dopo essere stato dipendente “benestante” all’Italcable. In poche visite alla sua abitazione, mi resi conto che aveva raggiunto, da autodidatta, una qualche preparazione umanistica, trovandovisi testi in latino di alcuni autori classici. Mi resi anche conto essere il nostro zieddu, un cultore della narrativa francese, i cui testi conservava e leggeva nella prima lingua di edizione. Aveva una sua idea politica. Era un comunista. Puro. Della prim’ora. Ammirevole, per esserlo ancora ad ottantacinque anni. Con un solo difetto: non si rendeva conto che il rosso d’oggi, era lontano anni luce dal suo puro idealismo. Da persona sola, aveva una maniacale attenzione verso la sistemazione di oggetti, all’interno dell’abitazione, ed attrezzi, nel piccolo, ma curatissimo orto e giardino, ove cresceva gli ortaggi di stagione e diversi alberi da frutto. Non potendovi mancare “sa ficu murisca”. Mi raccontò che, vivendo egli nel suo paese natìo, Orune, nel tempo stabilito, venne chiamato alla leva. Capitò, inconsapevole oggetto nelle mani dell’ala militare che gestiva i destini del Paese alla fine del 1944, nel capoluogo dell’altra isola maggiore. Il Fato stava per rendere chiaro allo stesso zieddu, la sua elevata struttura morale, quasi d’asceta votato all’Amore. Il Destino, o lo stesso Dio, stava per collocarlo in quell’Olimpo senza Stato, senza politicismi, privo di stupidismi umani, ove risiede il più puro amore, ma razionale, per il prossimo nostro. La mattina del 19 di ottobre, fu caricato su camion, insieme ad altri 52 commilitoni (riforniti di due bombe e cinquanta proiettili ciascuno) e trasportato nelle vicinanze della prefettura, ove erano riuniti, certo esasperati, quattromila palermitani che “manifestavano contro il carovita che affamava il popolo”. L’obiettivo era categorico nella sua disgraziata crudezza: sedare “in tutti i modi” la manifestazione. «Quando arrivammo (qualcuno dice fossero accolti da fitta sassaiola, ndr), vidi perfettamente che non era in corso alcun assalto. Quando la nostra colonna raggiunse alle spalle la folla, il tenente diede ordine di scendere e caricare i fucili. Fu un’attimo. I soldati, a comando, cominciarono a sparare ad altezza d’uomo e a scagliare bombe. L’apocalisse. La gente scappava da tutte le parti La strada si riempì di morti e feriti». 158 feriti! 26 morti! La strage del pane! Su zieddu, evidentemente provvisto d’un indipendente sistema analitico e freddo e rapido nel suo razionalismo, fu condotto (si pensi alla capacità d’astrazione del suo spirito eletto in quella sì terribile, complessa e coinvolgente evenienza) alla totale disobbedienza verso quello che ritenne un becero ordine. Il fante Pala Giovanni, ventunenne, precursore di caratteri umani ancora lungi dal venire, era divenuto l’antesignano della non violenza. Al rientro alla caserma Scianna, restituì le due bombe e le cinquanta pallottole che gli erano state consegnate.
Pala, “gai lu muttian peri in domo” (comente m'at nadu sa netta), mi faket ammentare cussu trettu de su primu libru meu, ue appo kircadu de iscoperrere itte zenia de modu de trubbare sos pessamentos, aiat su Sardu Mannu, de oe e de s’antikidade. Gai appo idu ki, dai sempere, non nos est aggradadu de faeddare meda de sas cosas, peri de cussas mannas, ki aiamus fattu e de cussas ki fakimus. Pro su Sardu (cussu mannu abberu comente a Pala) una cosa fatta, mezus si est manna, deppet abbarrare gai, kena bisonzu de la faeddare meda, ca sa mannaria est istampada pro sempere intro de issa ettottu! Su Sardu non perdet su tempus suo a furriare unu fattu importante de sa vida sua: isse este e abbarrat iscrittu in conca a s’Istoria de s’universu, propriu gai comente est istadu criadu! Cussiderade, diffattis, duas cosas solittante.
Sa 'e unu) - Cussa battalla manna de ses secculos prima de sa naskida de Zesucristu, uve amus iscuttu, a forte a forte, sos Cartazinesos (kissai comente los muttiamus in cussu tempus! Mancari los muttiamus carrales o, sinono, fradiles! Abbaidade (e pensadebbei ene) itte cosa mikk'est essida!), imbolandekkelos a mare, sende issos (a intendere sos proffessores conkimaccos de sas sardas universidades de oe) sos prus fortes de su Mediterraneu! Sos Sardos han fattu cussa “magna res bellica” e dikkéla sunt irmenticada! “Cosa fatta capo ha” naraiat cusse. Diffattis, est istadu su fattu prus mannu de tottu cussu secculu! A sos Sardos, ki aiant cosas mannas de faker sempere, non del’at importadu prus nudda! ‘Nde den’aer faeddadu pezzi kin caleccunu ki oiaian in su Mediterraneu, zukendekkeli sa preda corbìna, o piscane iscampirru de annu ! Sos Puniccos, zertu non d’ant faeddadu kin nemos! Pro s'irgonza! Sos Romanos fint galu in sa mente 'e Deus! Sos Greccos, comente naraiat Pausania, non iskian propriu nudda de Sardinna! E duncas, custa cosa, sa prus manna de su tempus (a cunfrontu cussa cosa istuppidedda ki prenet sa ucca de sos conkimaccos universittarios de su mundu intreu, ki la muttini (intè, intè) “la battaglia del Mare Sardo” fit istada una thinthula, a dainantis de custu voe, fattu dae sos Sardos!) non bi l'at iscritta nemos! E duncas, nemos di l'ammentat in s'antikidade, pezzi Trogu Pompeu! E, kissai cantas an'a essere, tottu cussas cosas mannas, fattas dae sos Sardos de s'antikidade, ki nemos ammentat! De s'antikidade prus allargu, soe narande! E, abbaidade comente fit presente peri in cussu fattu (sa cosikedda de nudda ammentada dae Herodotu Turiu), su Sardu! A sa battalla l’an postu zustu, zustu, su numene de su Mare Suo!).
Sa 'e duos) - l'appo a iscriere un'attera orta.
Doveva essere il 25 di ottobre del 2008. Avevo portato il mio primo libro alla manifestazione annuale del Circolo Sardo dei Quattro Mori di Ostia, onde esporlo e farlo conoscere. Nel pomeriggio mi vidi venire incontro “custu zieddu, nieddu ke a maurreddinu”, con occhi anche nerissimi, vestito di tutto punto (come colui che tenga in un certo conto la propria persona e voglia conferire rispetto agli individui e i luoghi che intenda visitare), con cappello, giacca e cravatta vistosa (come spiccata e netta doveva sentire la propria personalità) e con un impermeabile per soprabito. Ci presentammo e chiestogli cosa facesse, seppi che era un “pensionato benestante”. Mi narrò parte della sua vita movimentata, che lo vide recarsi in Australia, Russia, Inghilterra e Francia. Questo particolare, che mi riuscì di cogliere, me lo presentò come individuo assolutamente particolare. Noi sappiamo infatti come, i nostri corregionali, spinti dal fato a cercare altri lidi ove nidificare, si recarono in Belgio, ove rimasero; approdarono in Germania, ove si crearono una famiglia; arrivarono in Francia, ove si ricostruirono una vita, ché tale è l’obiettivo dell’emigrante: trovare un posto, qualunque, ove poter dar fondo alle proprie capacità per mettere a punto, in terra, i propri sogni. Invece, “custu zieddu” aveva un animo inquieto, era sospinto da una vivacità sì dinamica, al punto che nessun luogo al mondo poteva appagare il suo infinito desiderio di scoprire cosa fosse più in là. Credetti di capire l’origine di quella vigoria: era quell’intimo desiderio di conoscere sé stessi, che aggredisce i puri d’animo, che devasta i pensieri dei buoni di spirito, i quali volano alto, non lambiti da terrene meschinità le quali non trovano aderenza sulla sfera, lustrata a specchio, che racchiude loro ideali, al tempo principio, modello e causa del divenire. Da qualche decennio risiedeva ad Acilia, dopo essere stato dipendente “benestante” all’Italcable. In poche visite alla sua abitazione, mi resi conto che aveva raggiunto, da autodidatta, una qualche preparazione umanistica, trovandovisi testi in latino di alcuni autori classici. Mi resi anche conto essere il nostro zieddu, un cultore della narrativa francese, i cui testi conservava e leggeva nella prima lingua di edizione. Aveva una sua idea politica. Era un comunista. Puro. Della prim’ora. Ammirevole, per esserlo ancora ad ottantacinque anni. Con un solo difetto: non si rendeva conto che il rosso d’oggi, era lontano anni luce dal suo puro idealismo. Da persona sola, aveva una maniacale attenzione verso la sistemazione di oggetti, all’interno dell’abitazione, ed attrezzi, nel piccolo, ma curatissimo orto e giardino, ove cresceva gli ortaggi di stagione e diversi alberi da frutto. Non potendovi mancare “sa ficu murisca”. Mi raccontò che, vivendo egli nel suo paese natìo, Orune, nel tempo stabilito, venne chiamato alla leva. Capitò, inconsapevole oggetto nelle mani dell’ala militare che gestiva i destini del Paese alla fine del 1944, nel capoluogo dell’altra isola maggiore. Il Fato stava per rendere chiaro allo stesso zieddu, la sua elevata struttura morale, quasi d’asceta votato all’Amore. Il Destino, o lo stesso Dio, stava per collocarlo in quell’Olimpo senza Stato, senza politicismi, privo di stupidismi umani, ove risiede il più puro amore, ma razionale, per il prossimo nostro. La mattina del 19 di ottobre, fu caricato su camion, insieme ad altri 52 commilitoni (riforniti di due bombe e cinquanta proiettili ciascuno) e trasportato nelle vicinanze della prefettura, ove erano riuniti, certo esasperati, quattromila palermitani che “manifestavano contro il carovita che affamava il popolo”. L’obiettivo era categorico nella sua disgraziata crudezza: sedare “in tutti i modi” la manifestazione. «Quando arrivammo (qualcuno dice fossero accolti da fitta sassaiola, ndr), vidi perfettamente che non era in corso alcun assalto. Quando la nostra colonna raggiunse alle spalle la folla, il tenente diede ordine di scendere e caricare i fucili. Fu un’attimo. I soldati, a comando, cominciarono a sparare ad altezza d’uomo e a scagliare bombe. L’apocalisse. La gente scappava da tutte le parti La strada si riempì di morti e feriti». 158 feriti! 26 morti! La strage del pane! Su zieddu, evidentemente provvisto d’un indipendente sistema analitico e freddo e rapido nel suo razionalismo, fu condotto (si pensi alla capacità d’astrazione del suo spirito eletto in quella sì terribile, complessa e coinvolgente evenienza) alla totale disobbedienza verso quello che ritenne un becero ordine. Il fante Pala Giovanni, ventunenne, precursore di caratteri umani ancora lungi dal venire, era divenuto l’antesignano della non violenza. Al rientro alla caserma Scianna, restituì le due bombe e le cinquanta pallottole che gli erano state consegnate.
Pala, “gai lu muttian peri in domo” (comente m'at nadu sa netta), mi faket ammentare cussu trettu de su primu libru meu, ue appo kircadu de iscoperrere itte zenia de modu de trubbare sos pessamentos, aiat su Sardu Mannu, de oe e de s’antikidade. Gai appo idu ki, dai sempere, non nos est aggradadu de faeddare meda de sas cosas, peri de cussas mannas, ki aiamus fattu e de cussas ki fakimus. Pro su Sardu (cussu mannu abberu comente a Pala) una cosa fatta, mezus si est manna, deppet abbarrare gai, kena bisonzu de la faeddare meda, ca sa mannaria est istampada pro sempere intro de issa ettottu! Su Sardu non perdet su tempus suo a furriare unu fattu importante de sa vida sua: isse este e abbarrat iscrittu in conca a s’Istoria de s’universu, propriu gai comente est istadu criadu! Cussiderade, diffattis, duas cosas solittante.
Sa 'e unu) - Cussa battalla manna de ses secculos prima de sa naskida de Zesucristu, uve amus iscuttu, a forte a forte, sos Cartazinesos (kissai comente los muttiamus in cussu tempus! Mancari los muttiamus carrales o, sinono, fradiles! Abbaidade (e pensadebbei ene) itte cosa mikk'est essida!), imbolandekkelos a mare, sende issos (a intendere sos proffessores conkimaccos de sas sardas universidades de oe) sos prus fortes de su Mediterraneu! Sos Sardos han fattu cussa “magna res bellica” e dikkéla sunt irmenticada! “Cosa fatta capo ha” naraiat cusse. Diffattis, est istadu su fattu prus mannu de tottu cussu secculu! A sos Sardos, ki aiant cosas mannas de faker sempere, non del’at importadu prus nudda! ‘Nde den’aer faeddadu pezzi kin caleccunu ki oiaian in su Mediterraneu, zukendekkeli sa preda corbìna, o piscane iscampirru de annu ! Sos Puniccos, zertu non d’ant faeddadu kin nemos! Pro s'irgonza! Sos Romanos fint galu in sa mente 'e Deus! Sos Greccos, comente naraiat Pausania, non iskian propriu nudda de Sardinna! E duncas, custa cosa, sa prus manna de su tempus (a cunfrontu cussa cosa istuppidedda ki prenet sa ucca de sos conkimaccos universittarios de su mundu intreu, ki la muttini (intè, intè) “la battaglia del Mare Sardo” fit istada una thinthula, a dainantis de custu voe, fattu dae sos Sardos!) non bi l'at iscritta nemos! E duncas, nemos di l'ammentat in s'antikidade, pezzi Trogu Pompeu! E, kissai cantas an'a essere, tottu cussas cosas mannas, fattas dae sos Sardos de s'antikidade, ki nemos ammentat! De s'antikidade prus allargu, soe narande! E, abbaidade comente fit presente peri in cussu fattu (sa cosikedda de nudda ammentada dae Herodotu Turiu), su Sardu! A sa battalla l’an postu zustu, zustu, su numene de su Mare Suo!).
Sa 'e duos) - l'appo a iscriere un'attera orta.
Allegato | Dimensione |
---|---|
la-strage-del-pane.pdf | 522.98 KB |