SERRAMANNA - doppiamente manna: grande nel nome, ma grande negli abitanti
Disse M. Pittau nel 1997, che la toponimia di un territorio geografico, può essere rassomigliata al sangue umano, nel quale è registrata una così grande quantità di dati riferibili al passato del singolo individuo. Infatti, aggiungeva, anche un toponimo è in grado di rivelare una massa di elementi che si riconducono alla sua storia, fauna, lingua, ecc.
Ebbene, noi riteniamo che il vivere in un territorio denominato con un attributo sì magnificamente positivo, abbia per mille anni circa (A. Terrosu Asole nel 1974) sollecitato il suo abitatore a comportarsi di conseguenza: pensare in modo fecondo, attivare meccanismi mentali orientati a grandiosi progetti, intraprendere sentieri originali. In altre parole, siamo convinti che gli abitatori di Serramanna, allevati e vissuti in questo aggregato culturale che tende al meglio, allo scopo di sempre più conoscere, anche saltando l’ostacolo di fossili concetti, debbano la loro peculiare caratteristica proprio alla denominazione e postura del loro insediamento urbano.
Ci è di conforto, in questa nostra considerazione, quanto ci arriva da M. Donald nel 1991 e nel 2004, che facendo ricorso alle più moderne acquisizioni di psicologia, scienza della percezione, etologia, ecc., afferma che «le culture ristrutturano la mente, non solo in termini di contenuti specifici – palesemente determinati dalla cultura – ma anche nella sua organizzazione neurale fondamentale». Egli si riallaccia in parte, a quanto sostenuto da J. Changeux nel 1985 e 1990, il quale dichiarava che «il cervello di numerosi individui appartenenti ad una particolare cultura, è in gran parte programmato in modo specifico».
Nella circostanza, ci sovviene il necessario obbligo di affermare che, nella recente visita a Serramanna, abbiamo potuto cogliere, nei brevi ma intensi momenti di contatto, quella qualità morale che non nutre né ostenta presunzione, la quale è solitamente espressa da quella umanità ben conscia e soddisfatta del proprio stato, la quale non ha bisogno di mettersi in mostra, ma anzi, ove pensi trovarsi in un contesto di possibile valutazione del nuovo, si dispone garbatamente all’ascolto, certo, ma anche al contraddittorio, come si conviene ad un elevato consesso civile, abituato ad isolare tutte le condizioni che ostano al raggiungimento di un obiettivo.
La presentazione del libro “i fenici non sono mai esisti”, era programmata per distendersi lungo l’arco di un’ora, pertanto, poco oltre tale termine, avevamo esaurito l’esprimersi dei concetti ritenuti sufficienti a fornire una comprensibile visione dell’insieme del nostro lavoro. Tuttavia, la grande quantità di interventi (anche da noi sollecitati, come è naturale) che argomentavano circa la possibilità di prendere in considerazione quanto esposto ed il confronto con le varie sfaccettature del sapere acquisito, ha fatto si che, con gli inevitabili excursus, la discussione sul libro, si protraesse per un’altra ora. Ma, l’aspetto più bellissimamente sconvolgente di questa seconda parte dell’incontro con quelle magnifiche persone, è rappresentato dal fatto che avendo (per esperienza) noi avuto la sensazione che gli astanti avessero deciso di ritener conclusa la concione, siamo rimasti per istanti lunghissimi in attesa che essi si alzassero per lasciare la sala. Abbiamo anche avuto la idea provocatoria di affermare ad alta voce (la qual cosa, con i suoi pro e contro, rientra nella nostra linea caratteriale), in dialetto romanesco: aò, io ci ho fame! Ma nessuno si è mosso di un millimetro! Dopo un altro lasso di tempo non indifferente, anche l’organizzatore dell’incontro, A. Zucca, della libreria La Sorgente, ha tentato di chiudere l’incontro dicendo: bene, ringraziamo l’autore per quanto ci ha raccontato… Ma, nessuno degli astanti si è dato per vinto! Continuando a discutersi degli argomenti che sì grandemente interessavano sos mannos de Serramanna.
La manifestazione di tale pacata, ma ferma bramosia di sapere, rappresenta il più incommensurabile premio cui possa ambire un ricercatore indipendente.
Ebbene, noi riteniamo che il vivere in un territorio denominato con un attributo sì magnificamente positivo, abbia per mille anni circa (A. Terrosu Asole nel 1974) sollecitato il suo abitatore a comportarsi di conseguenza: pensare in modo fecondo, attivare meccanismi mentali orientati a grandiosi progetti, intraprendere sentieri originali. In altre parole, siamo convinti che gli abitatori di Serramanna, allevati e vissuti in questo aggregato culturale che tende al meglio, allo scopo di sempre più conoscere, anche saltando l’ostacolo di fossili concetti, debbano la loro peculiare caratteristica proprio alla denominazione e postura del loro insediamento urbano.
Ci è di conforto, in questa nostra considerazione, quanto ci arriva da M. Donald nel 1991 e nel 2004, che facendo ricorso alle più moderne acquisizioni di psicologia, scienza della percezione, etologia, ecc., afferma che «le culture ristrutturano la mente, non solo in termini di contenuti specifici – palesemente determinati dalla cultura – ma anche nella sua organizzazione neurale fondamentale». Egli si riallaccia in parte, a quanto sostenuto da J. Changeux nel 1985 e 1990, il quale dichiarava che «il cervello di numerosi individui appartenenti ad una particolare cultura, è in gran parte programmato in modo specifico».
Nella circostanza, ci sovviene il necessario obbligo di affermare che, nella recente visita a Serramanna, abbiamo potuto cogliere, nei brevi ma intensi momenti di contatto, quella qualità morale che non nutre né ostenta presunzione, la quale è solitamente espressa da quella umanità ben conscia e soddisfatta del proprio stato, la quale non ha bisogno di mettersi in mostra, ma anzi, ove pensi trovarsi in un contesto di possibile valutazione del nuovo, si dispone garbatamente all’ascolto, certo, ma anche al contraddittorio, come si conviene ad un elevato consesso civile, abituato ad isolare tutte le condizioni che ostano al raggiungimento di un obiettivo.
La presentazione del libro “i fenici non sono mai esisti”, era programmata per distendersi lungo l’arco di un’ora, pertanto, poco oltre tale termine, avevamo esaurito l’esprimersi dei concetti ritenuti sufficienti a fornire una comprensibile visione dell’insieme del nostro lavoro. Tuttavia, la grande quantità di interventi (anche da noi sollecitati, come è naturale) che argomentavano circa la possibilità di prendere in considerazione quanto esposto ed il confronto con le varie sfaccettature del sapere acquisito, ha fatto si che, con gli inevitabili excursus, la discussione sul libro, si protraesse per un’altra ora. Ma, l’aspetto più bellissimamente sconvolgente di questa seconda parte dell’incontro con quelle magnifiche persone, è rappresentato dal fatto che avendo (per esperienza) noi avuto la sensazione che gli astanti avessero deciso di ritener conclusa la concione, siamo rimasti per istanti lunghissimi in attesa che essi si alzassero per lasciare la sala. Abbiamo anche avuto la idea provocatoria di affermare ad alta voce (la qual cosa, con i suoi pro e contro, rientra nella nostra linea caratteriale), in dialetto romanesco: aò, io ci ho fame! Ma nessuno si è mosso di un millimetro! Dopo un altro lasso di tempo non indifferente, anche l’organizzatore dell’incontro, A. Zucca, della libreria La Sorgente, ha tentato di chiudere l’incontro dicendo: bene, ringraziamo l’autore per quanto ci ha raccontato… Ma, nessuno degli astanti si è dato per vinto! Continuando a discutersi degli argomenti che sì grandemente interessavano sos mannos de Serramanna.
La manifestazione di tale pacata, ma ferma bramosia di sapere, rappresenta il più incommensurabile premio cui possa ambire un ricercatore indipendente.