TEORIA DELLA CONOSCENZA: considerazioni in breve
(a poi de sas feminas de maccumere)
In due occasioni, nel passato, avemmo modo di vedere dal vivo, questo che di Tamuli è un messaggio portentoso e scritto, certo, inviatoci dai nostri irraggiungibili antenati di moltissimi millenni addietro. Tante volte avevamo visto documenti che riproducono quei betili. Mai, però, aveano essi suscitato tanta emozione e così grande amorevole costrizione a leggere quell’architettura scrittoria gettata nelle braccia del futuro, anzi dell’eternità.
Millenni si è detto. Il calcolo sui millenni, per quanto si può leggere sui miseri resoconti disponibili, si basano su miserrimi tentativi che calcolano l’età de sos Nurakes. Anzi sarebbe più corretto dire “sugli inesistenti resoconti” che raccontano dell’età dei nostri monumenti più belli, più grandi, più numerosi e considerati ancora i più misteriosi, almeno a sentire gli specialisti sia universitari sia soprintendentuali. Ma, l’incommensurabile arte dello scrivere nella natura e con la natura (così come si evince dal contesto di Tamuli), non può essere così recente (3500 anni fa) come dichiarato per l’età de sos Nurakes, cui sono allineati in linea temporale i betili e i Gigantinos. Tale maestria nell’esercitare questo stadio dell’arte scrittoria, sua propria del Sardiano e (pertanto) dell’uomo in senso ampio, deve necessariamente la sua elaborazione e messa a punto ad una fase evolutiva (di tale arte) estremamente più antica, proprio a giudicare dalla inintelligibile modalità che tanto dista da quella consueta adoperata dai Sardiani proprio nel II millennio a.C., cioè nella supposta età nuragica. D’altro canto, dobbiamo dire d’avere in itinere uno studio sull’età de sos Nurakes che data ormai da più di un lustro. Ci occorreva naturalmente la collaborazione di uno specialista del settore (non appartenente ai due gruppi succitati) il quale, peraltro individuato, ha poi deciso di toglierci il saluto per dei positivi apprezzamenti da noi espressi verso uno studioso contemporaneo. Studioso e ricercatore che, negli ultimi tre lustri, è andato frantumando le assai labili certezze di Fumose Intelligenze, che nulla sanno della antica ed antichissima arte scrittoria degli antichi ed antichissimi Abitatori della Sardegna, per la triste ragione che per attivare dei nuovi collegamenti, v’è necessità di frizzanti neuroni, nella cui assenza si protrarrà la loro consueta misertà d’idee. Ma, la parte che a noi perteneva di quella ricerca, pur nella sua scheletrica enucleazione, era pronta di già, da tempo. L’oggetto della nostra osservazione, cioè l’aggregato dei parametri preso in esame (che non è frutto di pura speculazione intellettuale) fu, era, è e sarà, sempre lì, tangibilmente a dimostrare, a tutti coloro che la desiderino leggere, quella che a noi pare chiaramente essere la autentica, vera età de sos Nurakes. Anzi, la sua universale visibilità è posta in modo sì chiaro, al punto da farci asserire che, in quella data, sos Nurakes venivano costruiti di già da lungo tempo.
Quale quella data? Circa 8000 anni prima d’oggi. (naturalmente, validi conoscitori della materia a ronde bosse, possono prendere il posto del nostro ex amico ed aiutarci a dar voce autentica alla ricerca)
Bene. Si prenda fiato e si torni al tema principale. Reputiamo che il momento in cui gli antichi nostri avi, i Sardiani, scrivevano il messaggio di Tamuli, poteva essere certo antecedente quella data, anche considerando che attrici della apparentemente marginale vicenda di Tamuli, sono proprio dei soggetti femminili, che dominano la scena precisamente come hanno appurato varie discipline, per quella fase dell’umano vivere. Infatti, in quella data, a sentire Ian Hodder, che discetta anche sul fenomeno sociale di Lepenski Vir, l’uomo cominciava appena e timidamente, a sollevare la testa, dopo aver subito per molte decine di millenni, la totale supremazia della donna, come dimostrano gli scavi in tutta l’Europa danubiana (ma guarda un po’!), dove la presenza dell’elemento maschile, nel tessuto sociale disponibile, risulta quasi assente. In questo proposito, vedansi le relative analisi, almeno su Starčevo e Karanovo I, ma, naturalmente, anche quelle su Çatalhöyük.
È d’uopo si dica altresì che, collocare la nascita di sas meres de Tamuli in data ancora precedente gli 8000 anni addietro, non reca alcun danno a quella logica del pensiero che impone uno studio approfondito di tutto l’Insieme Sardegna, perché se ne tragga la vigorosa espressione del suo incommensurabile trascorso. Si dica ciò, prima che alcuno decida (come inopinatamente ha fatto) di assegnare, temere et nullo consilio, una certa età ad una tipologia di grandioso manufatto come su Nurake, alla cui nascita viene coordinato l’inizio dell’espressione culturale di Tamuli, nel suo insieme architettonico. E poi, bisognerebbe ricordare che, proprio per la stessa area geografica (in un riparo sotto roccia) G. Pesce riferisca che: «Fra i diecimila e più oggetti, ivi trovati […] due sono certamente identificabili come statuette e due sembrano abbozzi di statuette», richiamando in particolare una di esse, dallo stesso battezzata la Veneretta di Macomer ed assimilata stilisticamente alla statuetta di Savignano, poi datata fra 10 e 20.000 anni addietro (C. Delpino, V. Tinè). Naturalmente, il Grande Bugiardo (disdegnando i Sardi e la Sardegna), si affrettò a dichiararne l’appartenenza al Neolitico, con atto decisamente privo di un benché minimo raffronto stilistico, giacché le statuine della Pietra nuova, hanno assolutamente nulla in comune con quella di Macomer. Purtroppo, a causa sua, nessuno studioso straniero dell’arte mobiliare paleolitica, conosce la nostra veneretta, che pertanto, non è stata mai, né studiata né comparata con le tante europee. Ma, se la confrontiamo con le altre veneri, quella di Macomer (a metà strada fra tipologia occidentale ed orientale, con i tratti del viso appena suggeriti, ma presenti, una gestualità delle membra superiori poco evidente, le inferiori in aggraziato movimento e con steatopigia posteriore, per dirla con J.P. Duhard) parrebbe proprio posizionarsi verso la data più lontana, anche in virtù del particolarmente autonomo e geniale estro dell’artista sardiano: se ne ammiri l’esteticamente grandioso, piccolo seno, carico di virginea femminilità, ovvero l’originale visuale che preferisce il magnificamente bello, prima che lo straziante (ancorché realistico) consueto e consunto, di tale universo statuario che si dipana dalla Siberia ai Pirenei.
Ma, molto di più v’è da riferire, ritornando a su Nurake. Rimarchiamo come questo portento architettonico, non lo si possa isolare dal preciso contesto in cui è inserito, senza rischiare, come si è fatto e rifatto, di ridurne l’analisi ad un ammasso di pietre collocate in un certo modo. Su Nurake! Non è un manufatto costruito per difendersi dal nemico. Non ha funzione di magazzino. Non una torre d’avvistamento. Né ha ruolo di tempio della comunità. La dimora del capo esso non è. Chi afferma ciò, ricorre ad una immagine artificiosa e acromatopsica, che può neanche sfiorare l’esito multi culturale, che aveva ben compiutamente apparecchiato il progetto del sardiano architettore.
Su Nurake! È il risultato imprescindibile di tutte le esperienze dell’abitatore della Sardegna. Esperienze accumulatesi a partire almeno dall’inizio del Paleolitico superiore (per voler tacere delle fasi industriali ed umane del Pleistocene medio-inferiore e medio, a Sa Coa de sa Multa e Sa Pedrosa Pantallinu, F. Martini docet). Esperienze imprenditoriali, poste in essere nel suo girovagare pel Mediterraneo, a motivo della estrazione e diffusione dell’ossidiana, almeno di Pantelleria, di Lipari, di Palmarola (tutte disabitate), avendo trattato il suo vetro vulcanico (come deduttivamente vedemmo in kircandesossardos) almeno da 40.000 anni fa; a motivo della sua maestria nella pesca e lavorazione del tonno, intrapresa inseguendo e studiando il thunnide fin nell’Atlantico, alla ricerca delle aree tipiche di frega, maturazione e riproduzione, con conseguente accumulo delle competenze anche sui cupleidi; a motivo dei suoi viaggi nelle regioni danubiane, per scambi di beni, tecnologie, modelli culturali ed anche sentimenti, con gli esseri umani colà viventi; a motivo della sua antica frequentazione delle coste orientali del Mediterraneo, segnatamente Gerico verso i 10.000 anni fa, anche per portare in quelle contrade l’ossidiana di Monte Arci.
Su Nurake! È sintesi della sua avventura spirituale, nata in primo luogo dalla perfetta simbiosi con la natura dell’isola paleolitica, che intiera gli si offre e totalmente egli cura quale dono divino; è l’esito di una magistrale, delicata comunione con l’elemento faunistico (leggasi Prolagus sardus), che gli permise la sopravvivenza gratificante per 650.000 anni, a voler dare ascolto (come fermamente diamo, in ragione del suo spessore scientifico) a P.Y. Sondaar. È storia mistica, quale adesione incondizionata verso l’essenza suprema della propria Terra, sospirata come porto, sperimentata come fantastico passato, sperata come meraviglioso futuro, vissuta come casa: cosciente nucleo di una comunione d’intenti senza limiti.
Ecco su Nurake! È il frutto dei pensieri, delle speranze, delle paure, dei lutti, degli amori, delle proiezioni mentali, delle rimozioni, della serenità, della certezza, della solidità, della potenza, proiettate dall’abitatore della Sardegna attraverso la realizzazione di una architettura, unica, grandiosa, eterna, che è dagherrotipo della sua essenza spirituale e sperimentale. Appunto.
per il magnificamente bello, è d’uopo si dica: “su concessione del ministero per i beni e le attività culturali, direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna, soprintendenza per i beni archeologici per le provincie di Cagliari e Oristano”.
In due occasioni, nel passato, avemmo modo di vedere dal vivo, questo che di Tamuli è un messaggio portentoso e scritto, certo, inviatoci dai nostri irraggiungibili antenati di moltissimi millenni addietro. Tante volte avevamo visto documenti che riproducono quei betili. Mai, però, aveano essi suscitato tanta emozione e così grande amorevole costrizione a leggere quell’architettura scrittoria gettata nelle braccia del futuro, anzi dell’eternità.
Millenni si è detto. Il calcolo sui millenni, per quanto si può leggere sui miseri resoconti disponibili, si basano su miserrimi tentativi che calcolano l’età de sos Nurakes. Anzi sarebbe più corretto dire “sugli inesistenti resoconti” che raccontano dell’età dei nostri monumenti più belli, più grandi, più numerosi e considerati ancora i più misteriosi, almeno a sentire gli specialisti sia universitari sia soprintendentuali. Ma, l’incommensurabile arte dello scrivere nella natura e con la natura (così come si evince dal contesto di Tamuli), non può essere così recente (3500 anni fa) come dichiarato per l’età de sos Nurakes, cui sono allineati in linea temporale i betili e i Gigantinos. Tale maestria nell’esercitare questo stadio dell’arte scrittoria, sua propria del Sardiano e (pertanto) dell’uomo in senso ampio, deve necessariamente la sua elaborazione e messa a punto ad una fase evolutiva (di tale arte) estremamente più antica, proprio a giudicare dalla inintelligibile modalità che tanto dista da quella consueta adoperata dai Sardiani proprio nel II millennio a.C., cioè nella supposta età nuragica. D’altro canto, dobbiamo dire d’avere in itinere uno studio sull’età de sos Nurakes che data ormai da più di un lustro. Ci occorreva naturalmente la collaborazione di uno specialista del settore (non appartenente ai due gruppi succitati) il quale, peraltro individuato, ha poi deciso di toglierci il saluto per dei positivi apprezzamenti da noi espressi verso uno studioso contemporaneo. Studioso e ricercatore che, negli ultimi tre lustri, è andato frantumando le assai labili certezze di Fumose Intelligenze, che nulla sanno della antica ed antichissima arte scrittoria degli antichi ed antichissimi Abitatori della Sardegna, per la triste ragione che per attivare dei nuovi collegamenti, v’è necessità di frizzanti neuroni, nella cui assenza si protrarrà la loro consueta misertà d’idee. Ma, la parte che a noi perteneva di quella ricerca, pur nella sua scheletrica enucleazione, era pronta di già, da tempo. L’oggetto della nostra osservazione, cioè l’aggregato dei parametri preso in esame (che non è frutto di pura speculazione intellettuale) fu, era, è e sarà, sempre lì, tangibilmente a dimostrare, a tutti coloro che la desiderino leggere, quella che a noi pare chiaramente essere la autentica, vera età de sos Nurakes. Anzi, la sua universale visibilità è posta in modo sì chiaro, al punto da farci asserire che, in quella data, sos Nurakes venivano costruiti di già da lungo tempo.
Quale quella data? Circa 8000 anni prima d’oggi. (naturalmente, validi conoscitori della materia a ronde bosse, possono prendere il posto del nostro ex amico ed aiutarci a dar voce autentica alla ricerca)
Bene. Si prenda fiato e si torni al tema principale. Reputiamo che il momento in cui gli antichi nostri avi, i Sardiani, scrivevano il messaggio di Tamuli, poteva essere certo antecedente quella data, anche considerando che attrici della apparentemente marginale vicenda di Tamuli, sono proprio dei soggetti femminili, che dominano la scena precisamente come hanno appurato varie discipline, per quella fase dell’umano vivere. Infatti, in quella data, a sentire Ian Hodder, che discetta anche sul fenomeno sociale di Lepenski Vir, l’uomo cominciava appena e timidamente, a sollevare la testa, dopo aver subito per molte decine di millenni, la totale supremazia della donna, come dimostrano gli scavi in tutta l’Europa danubiana (ma guarda un po’!), dove la presenza dell’elemento maschile, nel tessuto sociale disponibile, risulta quasi assente. In questo proposito, vedansi le relative analisi, almeno su Starčevo e Karanovo I, ma, naturalmente, anche quelle su Çatalhöyük.
È d’uopo si dica altresì che, collocare la nascita di sas meres de Tamuli in data ancora precedente gli 8000 anni addietro, non reca alcun danno a quella logica del pensiero che impone uno studio approfondito di tutto l’Insieme Sardegna, perché se ne tragga la vigorosa espressione del suo incommensurabile trascorso. Si dica ciò, prima che alcuno decida (come inopinatamente ha fatto) di assegnare, temere et nullo consilio, una certa età ad una tipologia di grandioso manufatto come su Nurake, alla cui nascita viene coordinato l’inizio dell’espressione culturale di Tamuli, nel suo insieme architettonico. E poi, bisognerebbe ricordare che, proprio per la stessa area geografica (in un riparo sotto roccia) G. Pesce riferisca che: «Fra i diecimila e più oggetti, ivi trovati […] due sono certamente identificabili come statuette e due sembrano abbozzi di statuette», richiamando in particolare una di esse, dallo stesso battezzata la Veneretta di Macomer ed assimilata stilisticamente alla statuetta di Savignano, poi datata fra 10 e 20.000 anni addietro (C. Delpino, V. Tinè). Naturalmente, il Grande Bugiardo (disdegnando i Sardi e la Sardegna), si affrettò a dichiararne l’appartenenza al Neolitico, con atto decisamente privo di un benché minimo raffronto stilistico, giacché le statuine della Pietra nuova, hanno assolutamente nulla in comune con quella di Macomer. Purtroppo, a causa sua, nessuno studioso straniero dell’arte mobiliare paleolitica, conosce la nostra veneretta, che pertanto, non è stata mai, né studiata né comparata con le tante europee. Ma, se la confrontiamo con le altre veneri, quella di Macomer (a metà strada fra tipologia occidentale ed orientale, con i tratti del viso appena suggeriti, ma presenti, una gestualità delle membra superiori poco evidente, le inferiori in aggraziato movimento e con steatopigia posteriore, per dirla con J.P. Duhard) parrebbe proprio posizionarsi verso la data più lontana, anche in virtù del particolarmente autonomo e geniale estro dell’artista sardiano: se ne ammiri l’esteticamente grandioso, piccolo seno, carico di virginea femminilità, ovvero l’originale visuale che preferisce il magnificamente bello, prima che lo straziante (ancorché realistico) consueto e consunto, di tale universo statuario che si dipana dalla Siberia ai Pirenei.
Ma, molto di più v’è da riferire, ritornando a su Nurake. Rimarchiamo come questo portento architettonico, non lo si possa isolare dal preciso contesto in cui è inserito, senza rischiare, come si è fatto e rifatto, di ridurne l’analisi ad un ammasso di pietre collocate in un certo modo. Su Nurake! Non è un manufatto costruito per difendersi dal nemico. Non ha funzione di magazzino. Non una torre d’avvistamento. Né ha ruolo di tempio della comunità. La dimora del capo esso non è. Chi afferma ciò, ricorre ad una immagine artificiosa e acromatopsica, che può neanche sfiorare l’esito multi culturale, che aveva ben compiutamente apparecchiato il progetto del sardiano architettore.
Su Nurake! È il risultato imprescindibile di tutte le esperienze dell’abitatore della Sardegna. Esperienze accumulatesi a partire almeno dall’inizio del Paleolitico superiore (per voler tacere delle fasi industriali ed umane del Pleistocene medio-inferiore e medio, a Sa Coa de sa Multa e Sa Pedrosa Pantallinu, F. Martini docet). Esperienze imprenditoriali, poste in essere nel suo girovagare pel Mediterraneo, a motivo della estrazione e diffusione dell’ossidiana, almeno di Pantelleria, di Lipari, di Palmarola (tutte disabitate), avendo trattato il suo vetro vulcanico (come deduttivamente vedemmo in kircandesossardos) almeno da 40.000 anni fa; a motivo della sua maestria nella pesca e lavorazione del tonno, intrapresa inseguendo e studiando il thunnide fin nell’Atlantico, alla ricerca delle aree tipiche di frega, maturazione e riproduzione, con conseguente accumulo delle competenze anche sui cupleidi; a motivo dei suoi viaggi nelle regioni danubiane, per scambi di beni, tecnologie, modelli culturali ed anche sentimenti, con gli esseri umani colà viventi; a motivo della sua antica frequentazione delle coste orientali del Mediterraneo, segnatamente Gerico verso i 10.000 anni fa, anche per portare in quelle contrade l’ossidiana di Monte Arci.
Su Nurake! È sintesi della sua avventura spirituale, nata in primo luogo dalla perfetta simbiosi con la natura dell’isola paleolitica, che intiera gli si offre e totalmente egli cura quale dono divino; è l’esito di una magistrale, delicata comunione con l’elemento faunistico (leggasi Prolagus sardus), che gli permise la sopravvivenza gratificante per 650.000 anni, a voler dare ascolto (come fermamente diamo, in ragione del suo spessore scientifico) a P.Y. Sondaar. È storia mistica, quale adesione incondizionata verso l’essenza suprema della propria Terra, sospirata come porto, sperimentata come fantastico passato, sperata come meraviglioso futuro, vissuta come casa: cosciente nucleo di una comunione d’intenti senza limiti.
Ecco su Nurake! È il frutto dei pensieri, delle speranze, delle paure, dei lutti, degli amori, delle proiezioni mentali, delle rimozioni, della serenità, della certezza, della solidità, della potenza, proiettate dall’abitatore della Sardegna attraverso la realizzazione di una architettura, unica, grandiosa, eterna, che è dagherrotipo della sua essenza spirituale e sperimentale. Appunto.
il magnificamente bello | lo straziante consueto e consunto |
per il magnificamente bello, è d’uopo si dica: “su concessione del ministero per i beni e le attività culturali, direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna, soprintendenza per i beni archeologici per le provincie di Cagliari e Oristano”.